mercoledì 27 marzo 2019

VERBA VOLANT....




 

SCRIPTA MANENT...
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 


Martino Lorenzini






9 dicembre, Fabio Zaccaria, Gazzetta dell'Adda


Gazzetta della Martesana, 3 XI 2014 (Fabio Zaccaria)


29 marzo 2014




















TEATRO * RECENSIONE REPORT di Nicola Riva


La rappresentazione de La Cantatrice Calva” di E. Ionesco è stataportata sulle scene dalla compagnia “Parolazione”, la sera di sabato 13 aprile a Trezzo sull’Adda presso la sede della Società Operaia. Si tratta della prima di cinque repliche che si snoderanno tra i paesi limitrofi per concludersi nuovamente a Trezzo a giugno [Confronta con contributo: Teatro dell’assurdo: annotazioni] .




Difficilmente una compagnia teatrale si attiene in modo pedissequo al copione scritto e pubblicato dall’autore, soprattutto quando non si tratta di un lavoro formale, sterile, quasi filologico: molto più spesso accade, invece, che l’estro, il gusto e soprattutto la competenza del regista, eventualmente coadiuvato dagli altri membri dell’entourage – attori e tecnici -, intervengano per fornire un’impronta più personale, una sorta di firma d’autore che renda quella rappresentazione esattamente quella che è. In particolar modo questa operazione si può svolgere in quasi totale libertà quando ci si deve confrontare con il “teatro dell’assurdo”, secondo la definizione che Esslin diede al movimento di drammaturgia ispirato all’esistenzialismo nella metà del XX secolo.





La cantatrice calva



Ma veniamo ora all’argomento principale: la rappresentazione dell’opera “La cantatrice calva” di Ionesco. Poche righe sopra ho accennato agli importantissimi grandi assenti, protagonisti del loro non-esserci pur rimanendo a loro modo protagonisti. Prima che lo spettacolo (mi si passi il termine, poiché in fondo il teatro è questo) iniziasse, il regista e primo attore, Milani, ha illustrato i concetti sopraesposti con poche, semplici, accuratissime osservazioni che hanno gettato una luce importante sulla comprensione di questo e altri testi. Con due citazioni e un rapido confronto ha aiutato anche i più impreparati ad affrontare un elemento a prima vista bizzarro: il titolo della piéce.Parafrasando Tolstoj, se in un’opera compare una pistola, prima o poi questa dovrà sparare. E similmente Dostoevskij: se c’è un’ascia sarà utilizzata. Ma se così non fosse?


Immaginiamo un elemento chiave che resta per tutto il tempo nell'ombra, senza mai palesarsi. Ecco la figura evanescente ed enigmatica di Godot nell’opera di Beckett[1], citata di continuo dai due protagonisti ma mai apparsa, ammesso che sia mai esistita. Lo stesso discorso si applica alla “Cantatrice calva” di Ionesco. Ma qui il rimando si fa ancora più astruso e inafferrabile, poiché tale non-personaggio viene nominato una sola volta, per giunta con una nonchalance che se non fosse il titolo stesso dell’opera difficilmente avrebbe attratto la nostra attenzione.


Il testo in sé non è altro che una serie di battute scollegate e dialoghi sconclusionati, che non veicolano alcun messaggio e non comunicano nulla, non narrano, non arguiscono, non filosofeggiano. Non c’è la “morale della favola”, manca ogni possibile insegnamento o monito. A sipario calato, lo spettatore non sa nulla più di quanto sapesse all’inizio. Nessun personaggio l’ha condotto per mano attraverso il dipanarsi di una vicenda, come accade così sapientemente nei grandi autori come Shakespeare o Pirandello (per non citare tutti i classici greci e latini), e questo semplicemente perché NON C’È alcuna vicenda: manca ogni minimo accenno di trama, e le scene risultano giustapposte per paratassi, quasi intercambiali, come acini d’uva staccati dal grappolo. Impossibile fornirne un riassunto. Perciò invito chi volesse approfondire a leggere il copione o – meglio ancora – a recarsi a teatro per vederlo sulle scene: non esistono alternative.




Il lavoro di “Parolazione”



Poiché, come detto, ogni regista interpreta il testo adeguandolo al pubblico, al luogo o al tempo storico in cui sarà rappresentato (e sottolineo “interpreta”: l’interpretazione di un’opera d’arte non ha nulla a che fare con la sua esecuzione, che può benissimo rimanere inalterata), anche nell’allestimento proposto dal gruppo di Parolazione sono distinguibili certi particolari significativi, alcuni evidenti, altri più sottili, ma sempre tesi allo scopo di veicolare un determinato pensiero di fondo.




L’elemento che più si distacca dal testo originale, così come Ionesco l’aveva siglato sulla carta, è indubbiamente quello più palese, la scenografia. Per quanto scarne, le indicazioni che aprono il testo sono ben precise: “Interno borghese inglese con poltrone inglesi”, e, poco più avanti, “accanto a un fuoco inglese”. Tralasciando l’ironia della ripetizione (sarà solo lo spunto per sottolineare alcuni argomenti toccati, assolutamente frivoli e privi di ogni spessore), appare chiaro che due elementi imprescindibili siano il tono borghese, quindi pregiato, raffinato o perlomeno costoso, e la presenza di un fuoco, che non svolge altra funzione che quella di creare un’atmosfera da classico “interno”. Al contrario, Milani ha optato per una soluzione molto più radicale: semplici tende assolutamente bianche[2].


Il bianco impera in ogni elemento. Di bianco vestono tutti i personaggi (salvo l’unico vezzo di un elemento rosso acceso, diverso per ciascuno): si dice che il bianco sia il colore della purezza. In realtà, osservando meglio il mondo che ci circonda, questo non-colore è quanto di più terrificante possa immaginarsi. Solo per citare qualche esempio tratto dalle esperienze comuni, più un viso è pallido più denota malessere. Fino al candore finale, quello dei cadaveri. Bianche sono le bende e i sudari. Bianchi sono i fantasmi. Bianca la nebbia che nasconde ogni cosa, impedendoci la vista degli elementi più familiari e rassicuranti, e gettandoci in uno smarrimento panico.


Non solo: il bianco rappresenta anche la tabula rasa, un foglio o una tela su cui non si sia ancora scritta alcuna parola o tracciato alcun segno. Chiunque abbia esperienza di scrittura o pittura sa quanto sia terrificante la minaccia del bianco totale davanti: è il blocco dell’artista, l’horror vacui che svuota la mente da ogni pensiero, annullando la volontà. Ribaltando la prospettiva, si può anche presumere che la pagina bianca sia quella che precede il lavoro, il preludio, il materiale ancora da plasmare. Il concetto non cambia: passare dalla potenza all’atto comporta sempre uno sforzo creativo non esente da pericoli e rischi.


L’altro elemento scenografico apportato dal regista è un curioso orinale collocato su un tavolino. La sua funzione l’ha spiegata subito, per stornare gli evidenti quesiti della platea: l’orinale ha come funzione la raccolta di ciò che si rifiuta, degli scarti inutili. È il deposito dell’evacuazione, e così il regista vede i personaggi della tragedia: individui inutili che evacuano il proprio spirito, la propria intimità, la psicologia, i pensieri. Non sono altro che bocche per dar fiato a frasi inconcludenti, mentre senza accorgersene si sbarazzano di tutto ciò che fa di loro delle persone, riducendosi così a gusci vuoti. O meglio, svuotati.


Un’altra delle impronte che ogni regista conferisce alla propria rappresentazione è la tecnica recitativa, intesa come forma espositiva, andamento dialogico, ritmi, tempi, pause, intonazioni e tutta l’impalcatura che allestiamo quando parliamo. Il teatro consente la consapevolezza di quello che si andrà a dire di volta in volta, e tale consapevolezza può essere sfruttata per manipolare parole e atteggiamenti, calcando su un punto, lasciandone cadere altri, sottolineando alcune espressioni-chiave, in particolar modo durante i monologhi. Ma al teatro dell’assurdo si confà tutt’altro tipo di tecnica, e Milani ha saputo cogliere questa sfumatura. Non c’è posto per declamazioni, perché nulla è così importante da essere declamato. Né bisogna dare più importanza a una frase rispetto a un’altra, e quindi le pause e le sospensioni non hanno ragione d’esistere. Il teatro dell’assurdo non si recita: si pronuncia. E proprio così si sono espressi gli attori: utilizzando un tono di voce neutro, distaccato e incurante, lo stesso che utilizziamo quando non abbiamo necessità di narrare o comunicare.


Tutto questo fino alla scena conclusiva, dove i personaggi presenti sul palco sono in quattro, il doppio rispetto all’inizio, e ciascuno insiste nel voler dire la propria frase, sempre un’unica, brevissima frase, spesso ripetendola, incentrando il mancato dialogo su giochi di parole e assonanze, e voli pindarici tra un nome e un suono, fino alla disarticolazione totale. Il ritmo della recitazione si fa più concitato e affannoso, e anche il volume si alza giungendo quasi al grido in cui tutti si parlano sopra (un’espressione che ho sempre odiato ma che in questo caso coglie alla perfezione il concetto), dando vita a un caos schiacciante, una sorta di aggressione verbale tra tarantolati. Il copione riporta ogni singola frase, preceduta dal nome del personaggio che la deve pronunciare, ben staccata e distinta dalla precedente e dalla successiva. Invece Milani ha preferito portare all’estremo l’assurdità non solo delle parole ma anche della situazione, dando fiato contemporaneamente a tutti gli strumenti vocali di quell’orchestra umana e traendone una dissonanza stridente e straniante come si trova anche nella musica contemporanea.


Perché in fondo ci sono tre modi per non riuscire a comunicare: tacere, blaterare sciocchezze o far prevalere la propria voce sulle altre, in un grido tronfio, gonfio d’arroganza che purtroppo nella società moderna conosciamo fin troppo bene.


Questo è il mondo nel XX e XXI secolo: un teatro dell’assurdo recitato da uomini che non sanno esprimersi, davanti a un panorama che da paesaggio si sta trasformando in vuoto. Mondo nebbia, parole di fumo, un’umanità che si svuota di se stessa, in continuazione, nell’orinale della più atroce e scorporante sinecura.




Nicola Riva





Invito i lettori a consultare il sito “parolazione.blogspot.com” per conoscere più approfonditamente le attività di questa compagnia fervida di iniziative e vulcanica nelle idee, che spazia da incontri di impegno civile e religioso ad alcuni testi teatrali tra i più importanti, da Pirandello a Moliére, da Pasolini a Ibsen, oltre a una cospicua produzione dello stesso Milani, autore, direttore, regista e attore.










Fabio Zaccaria, 8 aprile, la gazzetta dell'Adda

 

15 febbraio
 

























































































La citta di Trezzo sull'Adda, n° 1, marzo 2010
-o-
A meno di una settimana dal precedente grande spettacolo, la sala teatrale di Crespi e' tornata ad essere un luogo protagonista della vita culturale e mondana di Capriate San Gervasio (BG). Il gruppo teatrale "Parolazione" di Trezzo sull'Adda ha presentato, questo venerdi sera 23-10-2009, lo spettacolo "L'AVARO" (di Moliere). La sala era piena (non c'era molta gente di Capriate o di Crespi, in prevalenza era un pubblico di Trezzo): tutti i circa 110 posti a sedere erano occupati. Molti sono stati i meritati applausi per tutti gli attori. Adolfo Milani (Arpagone, il protagonista) ha ringraziato il pubblico per la attenzione e concentrazione con la quale ha seguito la rappresentazione, dando modo a ciascun attore di poter dare il meglio di se. Si auspica di poter tornare ancora a Crespi per altri spettacoli. Naturalmente gli spettatori concordano con questo auspicio.
(Il commento è di Michele Lecchi sul blog IL PENSIERO DI OGGI)






 

















Grande partecipazione di pubblico alla serata dedicata alla poesia, in occasione dell'inaugurazione del Gazebo della Caffetteria del Castello. Molto applaudite le poesie estratte dai cassetti dai poeti locali e lette con perizia e professionalità dagli artisti del Gruppo Parolazione di Adolfo Milani. La giuria composta da un gruppo di appassionati: il Sindaco Roberto Milanesi, l'Assessore alla Cultura Maria Luisa Pesenti, la Direttrice della Biblioteca Alessandro Manzoni Magda Bettini, la signora Anna Baido Leoni, Alessandro Bassani e Adolfo Milani. Le tre poesie scelte dalla giuria che si è riunita il 12 aprile nei locali della biblioteca Alessandro Manzoni di Trezzo sull'Adda. Il loro giudizio è stato unanime e il criterio di escludere una graduatoria, condiviso da tutti. Le opere sono state nominate nell'ordine in cui sono state lette dagli attori del gruppo 'PAROLAZIONE'
 















 
 
















    -o-

6 commenti:

Anonimo ha detto...

il coraggio di aspettare!

PAROLAZIONE ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

Solo l’amare, solo il conoscere
conta, non l’aver amato,
non l’aver conosciuto.

Pierpi

Anonimo ha detto...

...il 'carpe diem' è una marea immobile, è una parola senza risonanze.
parolazione

Anonimo ha detto...

Immobile? ... è' opportuno aggiungere "quam minimum credula postero", di fatti non siamo tenuti a conoscere il nostro futuro ma siamo tenuti ad essere responsabili del nostro tempo "Dum loquimur, fugerit invida aetas" ma allora se cogliere l'attimo, esemplificando la massima oraziana, è il comportamento di colui che, senza timori coglie l'attimo di seguire i suoi desideri o i suoi sogni nell'unica occasione che gli si presenta, aderisce al messaggio oraziano? Con questo ha sufficiente risonanza...il CARPE DIEM? E' sufficientemente marea mobile????

Pierpi

Anonimo ha detto...

sei forte, Pierpi...come la tua stretta di mano.Io, però, cerco di vivere nei misfatti di ieri, nei misteri di domani: per questo il mio ' adesso' brucia! Non senti anche tu il calore di queste parole? (ofloda)